Commento al Vangelo Gv 10, 27-30

L'intento della comunità giovannea in questo brano è quello di rincuorare i suoi membri in un tempo fatto di persecuzione e di contrasti (anche al loro interno). Un periodo difficile per quei territori, dove l’impero romano aveva distrutto anche il tempio di Gerusalemme e aveva imposto ferocemente il suo predominio. E la domanda che ci dovrebbe sorgere spontanea quando leggiamo e analizziamo il contesto storico di questo brano è: qual è la percezione di una comunità, come quella raccontata dalle scritture, che annunciava il messaggio evangelico completamente discostante da ciò che era la potenza imperiale. Ma anche oggi potremmo farci una domanda simile. Qual è la percezione di noi alla sequela di Cristo in un mondo fatto di guerre e di conflitti?

La tentazione di smarrirsi e di scoraggiarsi è ai massimi livelli. Ed ecco cosa ci insegna il tema del Pastore che guida le sue pecore. Un pastore che conosce e ama le sue pecore, una ad una. Se ci ricordiamo non è solo Gesù che ne parla, ma anche nei salmi c'è spesso il riferimento al pastore. Per noi forse diventa incomprensibile un messaggio del genere, non vivendo il periodo che vivevano ai tempi. Qual è, oggi, l'immaginario collettivo del pastore? Un tizio, spesso barbone, che puzza di vacca e con una bisaccia per la colazione. Gli antichi, invece avevano una concezione di guida. Gli stessi re erano definiti a quell'epoca pastori. Senza pastore la pecora è persa, il gregge è sparpagliato ed è in preda a dei lupi. E quindi la vita delle pecore dipende dal pastore.

Gesù, il profeta di Nazareth, proprio in quel periodo si definisce, tramite gli scritti giovannei, il “pastore bello”. Non sta attribuendo a sé l'immagine classica del Messia perché preferisce evitare questa definizione, per non confondere le idee di quella gente già troppo confusa. Non scordiamo che lo pensavano come il sovvertitore del potere romano. Gesà sta dicendo cosa è venuto a fare sulla terra. A dare la vita per i propri amici. A dare l'inizio dei lavori per il Regno di Dio, ma qui su questa terra.

C'è il rischio di perderci? Si, c'è ed è altissimo. In questa società Gesù ci ha dato un mandato, quello dell'evangelizzazione, non solo quella compiuta con la bocca, ma soprattutto con i fatti, e invece nella storia abbiamo creato dei poteri ecclesiastici e dei palazzoni, abbiamo imposto pastori, guide spirituali, che stanno sui troni, sovvertendo il trono di Dio: la croce. Ha gettato giù il Cristo da quella croce, evitando la salvezza perché senza croce non ci può essere il compimento della salvezza.

Al posto di perderci torniamo con la mente al suo ricordo, alla sua vita, e alle difficoltà che ha attraversato. Portare a compimento le scritture come ha fatto lui. E come? Continuando il lavoro per il Regno di Dio. Gesù nella sua esistenza si è fidato totalmente di Dio, ha avuto fede. E Dio gli ha dato fiducia. Come Dio ha fiducia in noi. Uno dei messaggi che oggi ci vuole dare il vangelo è che con la croce non è stato annullato il progetto di Dio, ma è stato il nuovo inizio, la nuova alleanza, quella che non era stata capita dal popolo raccontato dell'AT.

“Io e il Padre siamo una cosa sola”. Gesù non è diventato estraneo al suo popolo, Israele, anzi... portava avanti i messaggi dei profeti, era fedele alla Torà, a Dio, ma a quel Dio, non imposto dalla religione della sua epoca, ma a quel Dio colmo di amore e sempre pronto a servire anziché farsi servire.

Chi è oggi il pastore che ci siamo creati? Il mercato dove Gesù è stato venduto e le nostre chiese di pietra dove abbiamo relegato Gesù dietro a una porticina d'oro. L'abbiamo lasciato lì, abbandonato. Abbiamo voluto incatenarlo in un mattone perché non abbiamo voluto ascoltarlo per paura che ci ribalti tutti i giorni ciò che abbiamo costruito a nostro piacimento. Ecco il pastore che abbiamo voluto. Non un Padre/Madre che con la sua Parola ci guida. L'abbiamo messo come il giudice di chi si comporta diversamente da ciò che i dettami, i dogmi e le regole di una religione ha imposto. E così abbiamo creato un Dio cattivo, un Dio punitore che ci fulmina ad ogni malfatta. Sempre di più ci si illude di trovare la vita, tranquilla, sicura, soddisfacente dai muri che innalziamo, dai recinti che costruiamo per proteggerci da quanti "disturbano" il nostro orticello. E i pastori che ci siamo creati sono i soldi, il nostro potere d’acquisto, il nostro successo, il nostro potere e la fabbrica delle armi anziché il dialogo, la condivisione e la crescita comune.

Che questo periodo di Pasqua ci faccia riscoprire un Gesù che Ci ha fatto capire che la coerenza al messaggio che abbracciamo può aprire uno squarcio di azzurro dal quale riprendere vita. Potrà creare un caos tra i gerarchi e i despoti delle chiese, ci sbatteranno fuori con sentenze di scomuniche e di riduzioni allo stato laicale, ma non avremo creato un Dio a nostra immagine e somiglianza. 

A noi è chiesto di avere fiducia e di fare la nostra parte. Dio sarà per noi l’assicurazione migliore su questa terra. Non ti può garantire che andrà tutto bene e non avrai degli intoppi, perché questo dipenderà dalla tua attenzione. Durante il periodo covid talune chiese han chiesto a Dio di salvarci dalla pandemia pensando che avesse la bacchetta magica, ma nessuna chiesa ha mai detto al Padre Madre siamo stati dei cretini noi esseri umani che abbiamo lasciato che tutto il creato andasse in rovina.

Gesù, attraverso gli scritti della comunità giovannea, ci ricorda che Dio è la garanzia più certa con cui ci si può confidare e trovare la risposta dentro al nostro più profondo, nel nostro più buio dove incontriamo quel Dio che ci fa rinascere. A noi invece non solo è chiesto di entrare nel nostro più intimo, dove abbiamo più paura di vedere e scoprire il buio, ma ci è chiesta la disponibilità nell'annunciare il vangelo, la fiducia nell'avere coerenza e la costanza, la pazienza quando ci troveremo nei deserti della nostra vita e dovremmo aspettare i famosi 40 giorni, ma soprattutto la disponibilità a renderlo presente nella vita di tutti i giorni e la luce per le strade della nostra società, al fianco dei barboni, delle prostitute, degli emarginati e dei discriminati.