Riflessione di don Franco Barbero su Lc 18,9-14 - Sono per caso io?
Il testo di questa parabola compare solo nel Vangelo di Luca ed era uno dei "pezzi forti" della predicazione cristiana con cui si tagliava con una buona dose di faciloneria il mondo in due, come un pezzo di parmigiano reggiano. Infatti leggendo queste righe è facile cadere nella trappola di alcuni luoghi comuni. Visto che la parabola accentua volutamente l'opposta posizione dei due "personaggi", è facile simpatizzare con il pubblicano e sentire una viscerale detestazione per il fariseo. Il "gioco" può risolversi in alcune semplificazioni davvero pericolose. Infatti la chiesa ufficiale, che ha sempre "sparato a zero" sui vari pubblicani, cioè "peccatori" (separato, divorziato, donne madri, omosessuale, preti sposati, conviventi vari …), qui si faceva bella: sulla carta tesseva l'elogio degli "irregolari" per continuare a bersagliarli nella vita quotidiana.
Attenzione alla realtà
Sul piano storico è un errore comune presso molti cristiani pensare che tutti i farisei siano stati quegli ipocriti e legalisti che spesso il Secondo Testamento polemicamente presenta.
Spesso i farisei erano persone piene di fede e di coraggio.
In realtà la parabola vuole mettere in luce la "parzialità" di Dio che si mette dalla parte di chi è più "lontano", più "impuro", meno accolto ed accettato nella logica corrente e dalle istituzioni ufficiali.
La predicazione cristiana il più delle volte, oggi come ieri, presenta un Dio che sta con i ben inseriti, con quelli che sono in linea con l'istituzione religiosa, che presentano buone credenziali.
Questo è il drammatico fallimento della predicazione cristiana, lo stravolgimento totale del messaggio di Gesù.
Dio non è un premio dei "buoni", ma il ricercatore dei perduti, l'innamorato dei deboli e degli emarginati.
Il personaggio del fariseo
Il fariseo, in questa pagina del Vangelo di Luca, impersona questi credenti che davanti a Dio esibiscono prestazioni e così la loro vita e la loro preghiera si risolvono in un teatrino dell'autocompiacimento, dell'autosalvezza e della loro religiosità.
Questo "personaggio" che "prega tra sè", è la caricatura della vera preghiera: al posto del Dio misericordioso ha collocato il suo "io" con i suoi "meriti"che sono indubbiamente reali e consistenti.
Alla corretta conduzione della sua vita aggiunge un sovrappiù di opere caritatevoli.
La legge prescrive solo un unico giorno all'anno in cui il digiuno è d'obbligo, il giorno della riconciliazione: questo credente che Luca chiama fariseo in modo denigratorio, digiuna di sua spontanea volontà due volte la settimana.
Tutto è in regola, anzi più e meglio delle regole.
Questo lo colloca sicuro e pettoruto davanti a Dio e una spanna sopra tutti gli altri, quasi senza che egli ne abbia coscienza.
È un abitudinario delle buone opere, un volontario …
La virtù lo fascia, lo avvolge da ogni parte; anzi lo imprigiona.
Da che cosa Dio dovrebbe salvarlo?
Di che cosa dovrebbe pentirsi lui che è un esecutore perfetto di tutte le regole?
La parabola stravolta
Gesù non ha mai pronunciato questa parabola così come compare. L'evangelista , vivendo in un tempo di forte tensione con i farisei, mette il fariseo dalla parte del "cattivo".
Gesù parla invece di due credenti che vanno a pregare e indica chiaramente chi fa una preghiera vera e chi falsa.
Questo fariseo è un'invenzione dell'evangelista che mette il cattivo nei panni del fariseo. Noi cristiani (è dovere ricordarlo) abbiamo portato nei secoli una pessima ed erratissima idea dei farisei. come fossero i più lontani da Gesù e fossero credenti falsi e "bigotti".
Molti erano i più vicini a Gesù, come gli studi citati in questo blog, anni fa ricordai.
La preghiera che coinvolge la vita
La detestabile "statua del fariseo" ci dice che il "supposto" fariseo-bigotto siamo proprio noi cristiani... Siamo un "esercito infinito" di bigotti, di ladri, di violenti. Siamo nella storia parolai e poi egoisti, tante madonne e niente solidarietà.
Il dato è storico: Gesù non si rivolse ai settori devoti, ma agli indegni e indesiderabili. La ragione è semplice.
"Gesù capisce subito che il suo messaggio è superfluo per coloro che vivono sicuri e soddisfatti della loro religione.
I "giusti" difficilmente hanno la sensazione di avere bisogno di "salvezza". Per loro è sufficiente la tranquillità che scaturisce dal sentirsi degni davanti a Dio e davanti alla considerazione altrui"(José Antonio Pagola, Luca, pag.240).
Del resto, come non ricordare il detto esplicito di Gesù? "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati … Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".
E io dove sto? e tu dove stai?
Mi domando a volte se nella mia vita quotidiana non sono per caso o non siamo noi per caso quei cristiani bigotti che alla preghiera non uniscono l'azione, che si rivolgono a Dio senza la richiesta della continua conversione? Condannare una fede falsa in altri è molto facile e per altro per nulla cristiano. Ben più difficile è scovare il cristiano bigotto, incoerente, indifferente che posso essere io. La parabola nel suo significato centrale mi rivolge questa domanda e mi ricorda che sovente il bigotto posso essere io.
Nessuno è perduto
Ecco il punto più alto, l'appello più vibrante della parabola.
è il richiamo a ciascuno/a di noi in modo pungente a cambiare atteggiamento interiore, a curare il nostro cuore narcisistico, perché siamo accolti dalla avvolgente ed incondizionata misericordia di Dio.
Nessuno esce dal terreno della "benedizione" di Dio.