Gesù è vivo (Mc 16, 1-8 - Lc 28, 1-10 - Lc 24, 1-12 - Gv 20, 1-18) - don Franco Barbero

Era stato crocifisso il profeta di Nazareth. I capi del popolo, i sacerdoti e i ricchi erano riusciti nel loro intento. Il sinedrio, i farisei e i sadducei finalmente tiravano un sospiro: «Ci siamo sbarazzati di questo pericoloso galileo che sollevava la gente e sovvertiva le nostre tradizioni». Pilato era riuscito a sistemare le cose senza che Roma dovesse intervenire.

Giuda, questo discepolo che aveva collaborato con i nemici di Gesù, sperando forse che scoppiasse una sommossa popolare, visto che i suoi sogni erano falliti, fu preso dalla disperazione e finì i suoi giorni impiccandosi.

Non sappiamo quanti dei familiari di Gesù lo seguirono fino al Calvario, sul luogo della crocifissione. Ma, certamente, ora essi erano nella angoscia e nel dolore. Tanto più che glielo avevano detto: «Ti metti nei guai, se attacchi i potenti sacerdoti di Gerusalemme e i notabili del popolo». Nemmeno loro avevano capito ciò che spingeva Gesù a questo impegno per i più deboli.

E i suoi amici? I discepoli, in parte erano fuggiti per non essere riconosciuti come gente della schiera del profeta di Nazareth, in parte avevano osservato e seguito ogni cosa un po' nell'ombra, di lontano; altri, in preda alla disperazione, erano tornati alle loro case. Non potevano reggere, non potevano farcela a vedere ciò che stava avvenendo sotto i loro occhi. Quel venerdì pomeriggio fu per loro un giorno terribile. Gesù, dopo i dolori atroci della croce, era morto non senza essersi rivolto al Padre. Il suo cadavere fu deposto in un sepolcro di pietra, di proprietà di un certo Nicodemo. Egli era un fariseo che amava Gesù e aveva cercato di capirlo. L'amore, con il quale i pochi rimasti unsero il suo corpo di profumo, era mescolato alle lacrime. Un grande masso coprì il sepolcro.

Nei giorni successivi alcune donne, amiche di Gesù, che avevano più volte seguito lui e i suoi discepoli quando erano in viaggio, offrendo ospitalità, cibo, sostegno e affettuosa solidarietà, furono le prime a recarsi al sepolcro per piangere quel profeta nel quale esse avevano finalmente visto non un uomo padrone, ma un uomo fratello. Chi come lui avrebbe ancora avuto il coraggio di dichiarare contrario alla volontà di Dio il dominio dell'uomo sulla donna? Così pure, a piccoli gruppi, ritornarono al sepolcro di Gesù anche alcuni dei discepoli, quasi per rendersi conto, ancora una volta, con i propri occhi, che la morte di Gesù non era soltanto un brutto sogno, ma una terribile realtà. Là, di fronte a quel sasso che copriva il sepolcro, pensando che ormai quel Gesù che essi avevano guardato, toccato e ascoltato, stesse andando in putrefazione come ogni cadavere, essi si sentivano pieni di sgomento. Era tanto lo strazio e la disperazione che non riuscivano nemmeno più a piangere.

Dunque, era tutto finito? I discepoli si guardavano negli occhi, senza parole e senza speranza. Erano arrabbiati anche con Dio e con se stessi. Perché Dio non era intervenuto per salvare questo profeta, questo suo testimone e portaparola? Erano arrabbiati anche contro se stessi perché, non era stato Giuda, proprio uno della cerchia degli amici intimi di Gesù, a non capire il maestro, a collaborare con i sacerdoti per farlo consegnare a morte? E loro... non erano forse fuggiti pieni di paura?

Nella loro mente tornavano e ritornavano, in modo martellante, alcune domande: «Sarà davvero tutto finito? Gesù è finito nel nulla? Le sue parole e i segni del suo amore sono soltanto più dei bei ricordi? Anche le sue promesse e la sua speranza non sono altro che illusioni?». In preda al dolore e all'incertezza parecchi tornarono a casa e il gruppo degli amici e dei discepoli di Gesù si assottigliava. Ma alcuni, con ogni probabilità, continuarono a trovarsi tra loro e richiamavano alla memoria le parole di Gesù. «Non ci aveva forse detto che Dio non lo avrebbe dimenticato, anche se i potenti lo avessero ucciso? Sì, lui si fidava di Dio... fino in fondo. Anche noi dobbiamo fidarci del Dio di Gesù. Gesù non è finito nel nulla: egli vive presso Dio! Ora tocca a noi credere e  dirlo a tutti... Tocca a noi continuare la strada di Gesù, fare nostra la sua causa, fare ciò che faceva lui... ». Mentre discutevano, si confrontavano, pregavano insieme e ricordavano le parole che un tempo avevano ascoltato dalla bocca di Gesù, lentamente e faticosamente rinasceva nei loro cuori una visione nuova, una profonda convinzione, una fede robusta: Gesù è vivo! Sì, Dio non lo ha abbandonato nella morte e lo ha fatto vivere di una vita nuova e piena presso di sé. Era davvero Dio che aveva fatto rinascere e maturare questa certezza di fede.

I vangeli, scritti tanti anni dopo, ci parlano della risurrezione, di Gesù risorto. Questi vangeli ci testimoniano la fede profonda dei discepoli e delle donne amiche di Gesù. Gli scrittori dei vangeli hanno cercato di trasmetterci questo messaggio di fede e hanno fatto ricorso alle espressioni, ai "racconti", alle "ricostruzioni" e ai modi che a loro sembravano più efficaci, espressivi e convincenti. Noi sappiamo già da tempo che i Vangeli si esprimono con simboli, immagini, narrazioni poetiche. Così per farci capire che Gesù è davvero vivo, i vangeli ci parlano di apparizioni, di contatti fisici, di visioni, di comparse angeliche, di tomba vuota, e di tanti altri particolari belli e poetici. Questi racconti costituiscono un modo fantasioso e veramente felice ed azzeccato di trasmetterci il messaggio di fede. Leggendo le narrazioni che troviamo nei vangeli dovremo dunque ricordarci che è importante distinguere tra messaggio di fede e cornice poetica del racconto.

Noi oggi, grazie alla fede dei primi discepoli, sappiamo che Gesù vive, è più vivo che mai. Questo è per noi un motivo di gioia e di speranza. E tocca a noi ricordarlo specialmente a coloro che uccidono i poveri, li combattono, li torturano, li vogliono far tacere. Come Dio “ha dato ragione a Gesù" e gli ha donato una vita nuova, così Dio si schiera dalla parte dei più

deboli e dice che la loro causa è giusta: egli la fa sua. Il fatto che Gesù viva presso Dio ci dice anche che la nostra vita non finisce nel nulla. Dio ci farà un regalo prezioso: ci donerà una vita nuova presso di sé, proprio come ha fatto con Gesù. Ma se Gesù è vivo, sono vive le sue parole, è viva la speranza che egli ci ha dato di trasformare questo mondo. Questa fede ci dà forza: ci spinge a far vivere tutte le idee di Gesù, le sue opere e le sue scelte. Queste cose dobbiamo ricordarcele non solo a Pasqua, ma ogni giorno, se vogliamo essere dei discepoli di Gesù che credono davvero che lui è risorto.

 

Bibliografia:

* Una semplice lettura delle narrazioni evangeliche sopra l'evento pasquale induce a pensare che esso sia formulato con criteri storici. I discepoli, infatti, quando accorrono al sepolcro di Gesù, lo trovano vuoto (Mc 16,1-8). L'argomento della tomba vuota sembra dimostrare che la risurrezione di Cristo rivendichi una dimensione fisica. Se il cadavere non stava nel sepolcro, rimane una sola spiegazione: Gesù lo conservò dopo la sua risurrezione. Come può affermarsi, quindi, che questa supera gli orizzonti della storia? Se un cadavere riceve la vita, questo fenomeno può essere verificato dalle scienze sperimentali... Resta tuttavia da accertare se ciò che riferiscono gli evangelisti corrisponde senz'altro a ciò che veramente vogliono dire. In altre parole, è necessario sapere se i racconti della risurrezione (compreso l'argomento della tomba vuota) intendono esprimere realtà storico-fisiche o sono piuttosto formulazioni "mitiche", delle quali si servono gli autori per indicare valori che superano completamente il piano sperimentale dell'uomo» (A. SALAS. Catechismo biblico, Edizioni Dehoniane, Napoli 1977, pag. 337). Abbiamo tratto questa citazione da un lungo e bellissimo capitolo sulla risurrezione che lo studioso cattolico ha scritto con grande equilibrio e limpidezza e che sarà utile leggere per intero. Una lettura ‘ingenua’ che, cioè, non distingue accuratamente tra formulazioni letterarie e messaggio, non può aiutarci e ci priva della possibilità di accedere al contenuto della pagina evangelica.

* Solo l'assoluta esigenza di essere brevi ci impedisce di offrire una panoramica articolata degli studi (molto divergenti) sulla risurrezione. A noi sono serviti moltissimo i due volumi LUCA e MATTEO di Ortensio da Spinetoli, editi dalla Editrice Cittadella. L'insigne esegeta cattolico correda la sua ricerca di un apparato bibliografico che permette allo studioso o al lettore più esigente di perfezionare la ricerca. «Il risorto entra in una esperienza che sfugge a ogni controllo, a ogni verifica, a ogni riprova. I discepoli hanno visto Gesù morire sulla croce, ma non hanno potuto più seguire il cammino nuovo che egli intraprendeva appena spirato. Essi l'hanno accompagnato con  lo sguardo della fede, non con gli occhi della carne... La risurrezione è un annunzio di fede, più che un dato di esperienza... Il capitolo finale (Matteo 28) vuol essere una spiegazione o giustificazione di tale professione di fede cristiana... La sua portata è apologetica, più che storica. Apparentemente sembra che la chiesa renda conto della genesi della sua fede, com'è passata dal dubbio o dall’incredulità alla fede nel Cristo risorto, ma non lo fa in termini di cronaca, bensì di proposta, di annunzio. I "quadri" che vengono presentati contengono un messaggio vero - quello della risurrezione - ma sono, può darsi, funzionali ossia fittizi. L'unica storia che interessa sapere è che “Gesù è risorto" e che gli apostoli ne sono i veri “testimoni”. La via per cui essi sono arrivati a tale convinzione è, come per ogni credente, molto più lunga e faticosa di quanto sia da supporre dalle constatazioni schiaccianti (il "sepolcro vuoto" e i contatti fisici col risorto) segnalate nei testi che d'altronde mal si inquadrano nella logica di un evento metastorico» (ivi pag. 760-762). Facilmente in quest'ottica potremo renderci conto delle "apparizioni", traduzione e formulazione plastica di ciò che è avvenuto nel mistero e nel segreto. Nel volume dedicato a Luca, lo stesso Autore precisa: «La continuità tra le due esistenze, del Gesù storico e del Gesù glorificato, è indiscussa; le modalità del trapasso fanno parte del mistero. La domanda che affiora alla fine di questo primo quadro pasquale è sempre quella di precisare ciò che fa parte del linguaggio, delle risorse dell'apologetica e ciò che è il messaggio della risurrezione» (ivi, pag. 729).

Per un quadro delle questioni esegetiche e linguistiche risulterà di estrema utilità il volume di HANS KUNG, Vita eterna?, Mondadori, Milano 1983. Specialmente per chiarire la distinzione tra "reale" e "storico".

* Su "storico e reale" ci è servito quanto osserva E. CHARPENTIER (Cristo è risorto, Gribaudi, Torino 1979, pag. 49): «I tedeschi hanno la fortuna di avere due termini diversi per parlare della storia: "historisch" e “geschichtlich”. Alcuni esegeti propongono di specializzare due parole in italiano: essi parlano di "storico" (historisch) e di "reale" (geschichtlich). A patto di non forzarla, questa distinzione può essere illuminante.

Per noi l'aggettivo "storico" indica abitualmente quello che si vede, che si tocca, che riguarda la conoscenza che abbiamo del passato. Il "reale" designerebbe quello che avviene a un essere, che lo trasforma nella sua vita personale o collettiva: qualcosa succede per lui. Questi due termini si intersecano, ma si sovrappongono? Facciamo un esempio: l'amore tra due creature è qualcosa di molto “reale” che fa parte della loro storia. Ma è "storico", visibile, misurabile? Certo, ci sono segni “storici” di questo amore, tracce visibili, il loro abbracciarsi, il vivere insieme.

Ma queste tracce storiche sono, in sé, ambigue. Bisogna interpretarle rifacendosi alla "realtà" invisibile. Succede di essere obbligato ad abbracciare qualcuno che non si ama. Un abbraccio sarà per me segno del loro amore nella misura in cui io so, da altre fonti, che si amano, perché loro stessi o altri me l'hanno detto; cioè nella misura in cui io "credo" alla realtà invisibile. Allora il fatto di vederli abbracciati rinforzerà la mia fede nel loro amore. Sperimentiamo qui quello che P. Ricoeur chiama il "circolo ermeneutico": per comprendere bisogna credere e per credere bisogna comprendere. Di fatto sarebbe meglio parlare di spirale, perché andando continuamente dall'uno all'altro, io progredisco nella conoscenza della realtà invisibile. “Se riserviamo l'epiteto di 'storico' alla conoscenza, alla certezza che possiamo ottenere di questo o quel fatto, attraverso i metodi storici, diremo che tutto ciò che è storico è certamente accaduto, ma non tutto ciò che è accaduto è necessariamente storico. Tutto ciò che è accaduto, in una parola il 'reale', ha maggiore estensione dello 'storico'"» (E. Pousset).

* Ci sono parse significative alcune affermazioni del teologo cattolico H. Kung: «Credere nella risurrezione non equivale a credere a determinate curiosità inverificabili e neppure ad "aggiungere" qualcosa alla fede in Dio; essa è addirittura la radicalizzazione di quest'ultima, la prova fondamentale, che la fede in Dio deve superare. Perché? Perché con la mia incondizionata fiducia io non mi fermo a metà strada, ma vado, coerentemente, fino in fondo. Perché da questo Dio io mi attendo tutto, appunto anche la realizzazione della speranza ultima, la vittoria sulla morte...» (pag. 151, Vita eterna?).

In questa prospettiva ci è parso importante non ridurre il messaggio né alla sola dimensione "individuale" né alla sola dimensione politica, ma includerle ambedue come fa egregiamente la teologia della liberazione che non può essere accusata di restringere la speranza cristiana all'orizzonte di "questo mondo". Per il legame tra risurrezione e lotta di liberazione si veda G. ALLES, Costruire libertà, Tempi di Fraternità, Torino 1982.

* Per fornire ulteriori elementi di confronto per il lavoro di preparazione aggiungiamo un elaborato di Franco Barbero, tratto da Tempi di Fraternità 8/1984.