Il samaritano si fa prossimo (Lc 10,25-37) - don Franco Barbero

Sentite questa parabola, questo racconto con il quale Gesù vuole dare una “lezione” piuttosto pungente a certuni che si credevano chissà chi perché frequentavano il Tempio (cioè andavano sempre in chiesa, diremmo noi oggi), facevano tanti riti religiosi e sapevano a memoria tante parti della bibbia.

Un giorno un “dottore della legge" (cioè un teologo, uno studioso della bibbia) si presentò davanti a Gesù che era in viaggio verso Gerusalemme con i suoi discepoli. Voleva tendere un tranello a Gesù. Se Gesù impartiva un insegnamento contrario alla legge e alla tradizione di allora, era possibile denunciarlo e farlo condannare.

Ecco come si rivolse a Gesù: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna, la vita di Dio e fare la sua volontà?». Gesù, a sua volta, gli domandò: «Che cosa trovi scritto nella bibbia?». Quell'uomo rispose: «C’è scritto: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente, e ama il prossimo tuo come te stesso». Gesù gli disse: «Hai risposto bene! Fa' questo e vivrai. Dio sarà contento e tu farai la sua volontà».

Ma quel maestro della legge, desiderando far vedere che voleva saperne di più, chiese ancora a Gesù: «Chi è, secondo te, o Gesù, il mio prossimo?». Gesù gli rispose narrando questa parabola: «Un uomo scendeva da Gerusalemme alla città di Gerico (la strada non era lunghissima, appena 28 chilometri, ma era piena di curve e di nascondigli per ladri e briganti). Ad un certo punto sgusciarono dai lati dei ladri, proprio mentre lui se ne stava andando tranquillamente. Gli rubarono tutto ciò che aveva con sé, lo caricarono di botte e di bastonate. Poi se la dettero a gambe, lasciandolo mezzo morto sulla strada. Per caso giunse in quel posto un sacerdote. Forse, dopo aver guidato le preghiere solenni e il culto al Tempio di Gerusalemme, ora se ne tornava a casa per la medesima strada, Come vide quell'uomo ferito, passò dall'altra parte della strada e proseguì il suo cammino. Identica cosa fece un levita, cioè un altro addetto al culto del Tempio. Come vide quell'uomo a terra, lo guardò, ma pensò di non fermarsi. Insomma anche questo levita andò oltre. Forse sia il sacerdote che il levita avevano fretta, temevano di perdere tempo e non volevano restare contaminati - come si credeva allora - dal sangue del ferito o, nel caso di una morte, dal contatto di un cadavere? Oppure quest'uomo ferito apparteneva ad un gruppo non 'simpatico', che non era in rapporti di amicizia con i sacerdoti? Sta di fatto che, per un motivo o per un altro, continuarono la loro strada come se nulla fosse!

Finalmente passò sulla strada un uomo di Samaria, un samaritano. I samaritani erano generalmente disprezzati come gente di cui non c'è da fidarsi, come poco di buono; erano un po' considerati come una razza inferiore o come pericolosi stranieri. La gente 'religiosa', 'perbene' si teneva lontana da loro come fanno oggi certuni con gli zingari o le persone che giudicano pericolose'. Il samaritano, appena vide quell'uomo ferito, balzò giù da cavallo, gli si avvicinò, lo guardò bene e subito si prese cura di lui. Si mise subito all'opera per fare tutto ciò che sapeva. Sulle ferite versò vino ed olio per disinfettare e lenire il dolore, poi le fasciò con grande cura. Non contento di questo, fece di più: lo caricò sul suo asinello e lo condusse fino ad una locanda dove, dopo averlo ben sistemato, lo raccomandò alle premure dell’albergatore. Gli restò ancora vicino. Il giorno seguente, dovendo partire, tirò fuori due preziose monete d'argento e le diede al padrone della locanda dicendogli: “Mi raccomando: prenditi cura di quest'uomo, e spendi per lui quello che c'è da spendere; al mio ritorno salderò il conto, ti pagherò tutto!"». A questo punto Gesù si rivolse al maestro della legge che lo aveva interrogato e gli domandò: «Chi di questi tre (il sacerdote, il levita e il samaritano) si è fatto prossimo di quell'uomo che era caduto nelle mani dei briganti?». Il maestro della legge rispose: «Quello che si è preso cura di lui». Gesù allora concluse: «Va' e fa anche tu come lui».

Chi ama si fa prossimo, fa ciò che può per chi si trova nel bisogno, nella sofferenza. Il sacerdote e il levita, che avevano sempre il nome di Dio in bocca, non hanno fatto la sua volontà perché chi ama Dio davvero lo dimostra facendosi prossimo di chi soffre. Che vale essere "religiosi" e dirsi "cristiani" se poi, alla prova dei fatti, non amiamo chi è nella sofferenza, nella povertà, nell'ingiustizia? L'amore che Gesù ci insegna comincia da chi è “ultimo", cioè meno provvisto di soldi, di salute, di amici, di ideali, di doti.

 

Bibliografia e annotazioni

* Raccomandiamo vivamente due libri: ALDO COMBA, Le parole di Gesù, Claudiana, Torino 1978. L'Autore ricorda che «l’azione del samaritano è, prima ancora che un atto umanitario, un atto di trasgressione di un modello culturale» (pag. 78) allora vigente. «La pietà (v. 33) lo porta a trasgredire quella norma non scritta, ma socialmente vincolante in modo estremo, secondo cui “tra giudei e samaritani non ci sono rapporti" (Gv. 4,9). La trasgressione rimane comunque il punto centrale di questa parabola» (idem). È importante annunciare in Gesù un amore che trasgredisce, cioè che va oltre la forza paralizzante delle tradizioni, dell’abitudine. È essenziale porre ai fanciulli (e prima a noi stessi) la domanda: «Sulla strada di Gesù sappiamo anche ribellarci, opporci e trasgredire i dettami e i “precetti” del buon senso quando ciò è necessario per essere fedeli al vangelo?».

* Ortensio da Spinetoli, nel suo volume Luca (Cittadella Editrice, Città di Castello 1982, pag. 382) ci ricorda, tra le altre annotazioni, che il samaritano «secondo la comune opinione non aveva idee esatte su Dio...; era un eretico, uno scismatico, ma, contro le apparenti valutazioni..., è in piena comunione con Dio». Non bastano, dunque, idee esatte su Dio (come se potessimo presumere di averle!); non basta una nuova teologia. Ci vuole la conversione ad una vita di amore storico, fraterno. Inoltre sarà bene abituarsi a non identificare "la verità" con le versioni ufficiali delle chiese. Infatti l’ortodossia spesso non è altro che l’eresia del partito dominante in una chiesa. Forse non si tratta di sostituire il culto dell’eresia a quello dell’ortodossia (retta dottrina), ma di conservare gratitudine a quel Dio che, nella sua bontà, ci ha donato tanti eretici che ci hanno risvegliati alla ricerca inquieta dell’evangelo, unica verità per il cristiano.

* Per la ricerca di gruppo a noi è sembrato essenziale insistere sulla crescita visiva: imparare a vedere, aprire gli occhi sulla realtà. Gli occhi nostri, non quelli di mamma TV. Si tratta di un vedere dentro il quale il vangelo inserisce la chiamata, l’invito ad amare. Con un pizzico di vigilanza per non instillare l’ideologia della beneficenza o l'idea che i cristiani posseggano (o quasi) il monopolio dell’amore fraterno.

* Così pure ci è sembrato essenziale uscire dal generico quando parliamo di "poveri". Occorre fornire al bimbo un messaggio concreto. Le nuove povertà (solitudine, emarginazione, malattia, detenzione carceraria, tossicodipendenza, disoccupazione...) indicano realtà concrete che cadono anche sotto l’occhio del fanciullo.

* Un punto ci è sembrato fondamentale: il fare. Gesù ci parla anche di quel figlio che dice “sì” al padre, ma poi non va a lavorare nella vigna. Le parole non possono bastare: le preghiere nemmeno. Gesù ci invita a prendere decisioni, ad agire concretamente. Si veda H. Echegaray, La prassi di Gesù. Cittadella, Assisi 1983. Tutto l’agire di Gesù è un invito.

* Amare gli altri forse è una indicazione che... non dice nulla. È l’altro, in tutte le implicazioni sopra ricordate, che Gesù ci propone di accettare e amare.